Addio, mamme: in Italia è record di donne senza figli (e la colpa è della politica).

Non solo si fanno sempre meno bambini, ma l’età media del primo figlio si alza. Quasi 32 anni per le donne, 35 per gli uomini. Siamo il paese europeo col più alto numero di donne senza figli. Pochi soldi. Poco lavoro. Poco coraggio.

Italia Paese senza figli, e senza madri. Oltre a registrare l’ennesimo record negativo, con 9mila bambini in meno (-2%) nati nel 2017, gli ultimi dati Istat sugli indicatori demografici dicono che in dieci anni sono sparite anche le mamme: dal 2008 si contano 900mila donne in meno nella classe 15-50 anni, di cui 200mila “scomparse” solo nell’ultimo anno. E mentre le madri potenziali sono sempre di meno, quelle che poi diventano mamme davvero lo fanno sempre più in ritardo.
L’età media al parto nel 2017 è salita a 31,8 anni. Significa che le donne italiane fanno il primo figlio, mediamente, a quasi 32 anni. E gli uomini, in compenso, si affacciano alla paternità, intorno ai 35.
«Non c’è nessuno in Europa che abbia un’età del primo figlio così alta come quella italiana», dice il demografo Alessandro Rosina. «Questo perché i giovani sono sempre più costretti a spostare in avanti il percorso di raggiungimento dell’autonomia rispetto ai genitori, e l’età media di uscita da casa è ormai a 30 anni, mentre nel resto d’Europa si attesta sotto i 25». E una volta che si arriva a una certa, le possibilità sono due: o rinunci ad avere un figlio, o non vai oltre il primo.

Non a caso, il numero medio di figli per donna da noi è di 1,34, tra i più bassi d’Europa, dove pure la fertilità resta comunque ai livelli minimi. «Non si va oltre il primo figlio sia perché il primo si fa già molto tardi, e quindi poi sorgono le complicazioni legate all’età, sia per difficoltà economiche, legate all’assenza o alla precarietà del lavoro e all’impossibilità di conciliare lavoro e famiglia», spiega Rosina. «Se già sei in una situazione di precarietà e difficoltà economiche, è evidente l’arrivo di un figlio complica tutto, e non si pensa nemmeno al secondo». E i dati non fanno ben sperare, visto che la povertà continua a crescere proprio tra i più giovani. Le cifre del 2016 dicono che se il capofamiglia è over 65 il rischio di povertà assoluta è del 3,9 per cento. Mentre se il capofamiglia è under 35 sale al 10,4 per cento. Più del doppio. «Le condizioni lavorative e di remunerazione peggiorano. È in mezzo a tanta instabilità e precarietà fare un investimento di lunga scadenza, come può essere quello di avere un figlio, diventa difficile». E in effetti, quando si interpellano i ragazzi, viene fuori che desidererebbero tutt’altro. Secondo i dati raccolti dal Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, i ragazzi italiani vorrebbero diventare genitori a 28 anni e fare almeno due figli. Ma nella realtà poi aspettano almeno tre anni in più e fanno un figlio.

I ragazzi italiani vorrebbero diventare genitori a 28 anni e fare almeno due figli. Ma nella realtà poi aspettano almeno tre anni in più e fanno un figlio in meno Il risultato è che l’Italia è tra i Paesi con il più alto numero di donne senza figli, più del 20% tra i 40 e i 44 anni. A guidare la classifica della natalità in Europa sono invece i vicini francesi, con quasi 2 figli (1,96) per donna – circa la media necessaria perché la popolazione di un Paese rimanga costante – e un’età media del parto del primo figlio intorno a 28 anni. «I sogni delle coppie italiane sono quelli che poi i coetanei francesi realizzano», spiega Rosina. Quando in Francia arrivano al secondo figlio, in Italia si fa il primo.

«Tutto questo non si fa con la bacchetta magica, ma è il frutto di un progetto organico di politiche», spiega Rosina. «Un mix di politiche fiscali, conciliazione lavoro-famiglia, alte coperture di asili nido e orari, politiche aziendali favorevoli alle famiglie e grossi sforzi di inclusione dei giovani nel mondo del lavoro. Tutte cose che da noi sono molto molto carenti». Secondo gli ultimi dati forniti dall’Ispettorato del lavoro, nell’ultimo anno 25mila mamme italiane hanno abbandonato il posto di lavoro. La ragione principale sono le grandi difficoltà che incontrano le donne nel riuscire a lavorare e prendersi cura dei propri figli contemporaneamente. Tra i costi alti dei nidi, gli stipendi bassi, i contratti precari, i nonni spesso ancora al lavoro e una divisione del lavoro domestico ancora sbilanciato sulle mamme, alla fine si rinuncia a lavorare.

Eppure anche in Francia il tasso di disoccupazione giovanile under 25 è alto, al 24,6%. Non quanto quello italiano – al 32,2% – ma comunque tra i più alti d’Europa. «Ma dopo i 25 anni in Francia la disoccupazione scende velocemente e le politiche per la famiglia fanno il resto, perché se ti perdi in quella fascia lì poi non riesci più a fare scelte solide», dice Rosina. Ma è proprio in questa fascia di mezzo, quando si mettono le basi per diventare madri e padri, che l’Italia colleziona i record negativi, con un calo costante degli occupati. «Basti pensare», spiega il demografo, «che in Italia nella fascia 25-34 anni si concentra il 30% dei Neet, cioè gli inattivi, gli scoraggiati, che non cercano più neanche un lavoro perché non riescono a trovarlo. La domanda quindi è: come fai a chiedere a un Neet l’impegno di formare una famiglia e di diventare genitore se lui stesso fatica a emanciparsi dal ruolo di figlio?»

La fertilità.

Le statistiche più diffuse dicono che una donna su tre, tra i 35 e i 39 anni, dopo più di un anno di tentativi non riesce a restare incinta.
Non è mai il momento giusto. La casa è troppo piccola, il lavoro è precario, il futuro incerto, i nonni sono lontani, gli asili costano troppo. Tutte motivazioni sacrosante, per carità.
Perché è tutto vero: il nostro non è un Paese per bambini. Non ci sono quegli aiuti costanti di cui avrebbero bisogno le famiglie per pianificare un bambino, non c' è l' importante detassazione francese. Men che meno il welfare dei paesi nordici, dove le donne lavorano di più, ma fanno anche più figli.
E non bastano certo le campagne ministeriali. Fare un figlio dovrebbe far parte della progettualità di una società, non di una singola coppia.

Il punto è però che, a parte le esitazioni, quando poi si decide di avere un figlio spesso non ci si riesce. Ed è una doccia fredda, perché quasi mai una coppia di trent' anni pensa che non riuscirà a fare un figlio. E invece la fertilità non è infinita, e anzi in questi anni è diminuita costantemente.
Per tutta una serie di motivi, alcuni dipendenti dai nostri stili di vita, altri dall' ambiente: i famosi interferenti endocrini, una infinità di molecole e sostanze in grado di influenzare il nostro sistema endocrino e quindi la riproduzione.
Ma c' entrano anche i comportamenti individuali, come diete scriteriate, uso di droghe, fumo, alcolici. Tanto che l' Eshre, la società europea di embriologia e riproduzione umana ha deciso di istituire un gruppo di interesse specifico, dedicato appunto alla preservazione della fertilità. Perché - spiega il suo coordinatore sono indispensabili strategie comuni e sforzi educativi.

La preservazione della fertilità dunque, sia per motivi medici che sociali, è ormai parte integrante della medicina della riproduzione e i programmi di preservazione possono essere una risorsa molto preziosa per salvaguardare le possibilità riproduttive dei giovani.

Il maschio

Secondo recenti dati Eshre, infatti, solo il 30% dei giovani maschi europei ha spermatozoi di alta qualità.
Gli altri arrancano. Anche l' età - al contrario di quello che comunemente si crede gioca un ruolo importante.
«L' invecchiamento dell' uomo - premette Aldo Franco De Rose, urologo e andrologo all' ospedale San Martino di Genova si riflette particolarmente a livello delle vescicole seminali e della prostata. La riduzione più importante della concentrazione di spermatozoi e di quelli normali si ha raggiunti i 40 anni».

E non va meglio con le ragazze, per un fattore legato soprattutto all' età. Perché si decide di far figli quando la fertilità individuale è in caduta libera, dopo i 35 anni. Avere una gravidanza tardiva può essere più complicato non solo per “colpa” della donna.
Dopo una certa età, anche gli spermatozoi perdono vigore, nonostante ne vengano prodotti continuamente di nuovi. Alcune abitudini scorrette, come il fumo o l’abuso di alcol o farmaci, possono essere un ostacolo.
Le donne italiane che decidono di cercare il primo figlio a 40 anni sono sempre di più. Secondo i dati Istat, le neomamme over 40 sono l’8% del totale. Tra il 2010 e il 2013 sono aumentate del 12% mentre negli ultimi 10 anni sono raddoppiate.

Ma quante probabilità ci sono di rimanere incinta a questa età? E quanto tempo ci vuole per riuscire a concepire?
A 40 anni le probabilità di avviare una gravidanza sono del 7-8% ogni mese Per avere più possibilità  è necessario provarci a lungo, il problema è che arrivati a questo punto ogni anno è prezioso: più il tempo passa, più le probabilità si riducono.

Il suggerimento, allora, se la gravidanza non sia avvia, è di rivolgersi a un ginecologo o a un esperto di medicina della riproduzione dopo soli sei mesi di tentativi per sottoporsi almeno agli esami più comuni ed escludere problemi di fertilità: il dosaggio ormonale e la valutazione della pervietà tubarica (lei) e lo spermiogramma (lui).
Se tutto va bene, si può continuare a cercare il bambino spontaneamente per un altro anno, passato il quale è meglio iniziare a pensare alla fecondazione assistita

La sensibilizzazione

L’età è al centro anche di diverse iniziative pubbliche e private. Nel Piano nazionale per la fertilità, promosso dal ministero della Salute, si sottolinea l’importanza di ricordare alle donne che la fertilità diminuisce al crescere dell’età.

"Solo nel Lazio una donna su tre ha il primo figlio oltre i 35 anni. Una tendenza che contrasta con il naturale declino della fertilità". Lo sottolinea Mauro Schimberni, docente di Tecniche di riproduzione assistita all'Univeristà Sapienza di Roma e responsabile dell'equipe del centro BioRoma, che ha organizzato il convegno 'Fermare l'orologio biologico nella riproduzione?'. Un incontro in corso oggi alla Casa del cinema della Capitale, per fare il punto sulla questione, grazie al parere di specialisti italiani e internazionali.

"Questo convegno intende dare delle risposte alla crescente tendenza, riscontrata nei Paesi economicamente sviluppati, a cercare la prima gravidanza in età avanzata", prosegue Schimberni.
Obiettivo degli organizzatori analizzare le strategie terapeutiche migliori per le donne in età riproduttiva avanzata, e l'evoluzione delle tecniche per preservare più a lungo la fertilità femminile.
"Negli ultimi anni si è registrato un aumento del numero di donne che, dopo aver avuto un primo figlio naturalmente, ne cercano un secondo attraverso tecniche di riproduzione assistita. A spingerle - spiega l'esperto - sono le sempre più numerose seconde unioni", matrimoni o convivenze.
"Queste donne - sottolinea Schimberni - hanno più probabilità di raggiungere con successo una gravidanza rispetto a quelle che approcciano alle tecniche di fecondazione assistita per avere un primo figlio".

L'emancipazione femminile e il migliore tenore di vita hanno determinato nel nostro Paese, dicono gli esperti, un generale ritardo nella formazione della coppia stabile e, conseguentemente, nella procreazione. Che interviene ben oltre i 30 anni,quando la fertilità tende fisiologicamente a diminuire.

Quando è il caso di ricorrere alla fecondazione assistita?

A 40 anni, generalmente negli Stati Uniti si suggerisce di sottoporsi a tecniche di fecondazione assistita dopo sei mesi di tentativi, anticipando molto i tempi italiani.
Questo perché le probabilità di successo si riducono notevolmente man mano che gli anni passano anche seguendo la via della fecondazione in vitro.

Il centro Bioroma si e’ specializzato negli ultimi anni nel trattamento della sterilita’ in eta’ femminile avanzata con risultati molto soddisfacenti, tuttavia le percentuali di gravidanza se a 40 si attestano intorno al 25%, a 43 scendono al 15%.
Se si desidera fortemente un bambino, quindi, l’ideale è cercare di aumentare le probabilità di successo tentando questa via e muovendosi il prima possibile.

A chi rivolgersi? In Italia ci si può rivolgere agli ospedali, dove però le liste di attesa sono di circa un anno – un anno e mezzo. Un’alternativa è rappresentata dai centri privati: qui i tempi praticamente si azzerano ma i costi salgono a circa 5000€ a trattamento.

Quali possono essere le cause del mancato attecchimento degli embrioni?

Dobbiamo prima di tutto accettare che la specie umana ha una bassa efficienza riproduttiva. Gli ovociti hanno un corredo cromosomico che non necessariamente è sempre sano, anche se la donna dalla quale provengono è perfetta dal punto di vista della mappa cromosomica. La percentuale degli ovociti cromosomicamente sani varia a seconda dell’età della donna che li libera con l’ovulazione. In una donna al di sotto dei 30 anni la percentuale degli ovociti sani, ovvero euplodi, è altissima e quindi anche gli embrioni che da essi provengono saranno con cariotipo euploide nell’80-90% dei casi. Un embrione euploide ha circa il 50% delle possibilità di attecchire e di dare origine ad una gravidanza fisiologica. Tuttavia in una donna sana e fertile di 40 anni la percentuale degli embrioni euploidi scende a poco più del 25% e anche questi embrioni hanno il 50% di possibilità di dare origine ad una gravidanza normale. Dunque una delle due cause della perdita di fertilità della donna è dovuta alla diminuzione della percentuale di ovociti e di conseguenza degli embrioni euploidi, questo comporta un notevole allungamento dei tempi necessari per ottenere una gravidanza. Gli embrioni non sani e quindi aneuploidi quasi mai riescono ad attecchire e dunque a dare origine ad una gravidanza, raramente attecchiscono ma danno origine ad una gravidanza destinata ad un aborto più o meno precoce, fortunatamente ancora più di rado danno origine ad una gravidanza patologica evolutiva come nel caso delle trisomie.

La prima causa di mancato attecchimento degli embrioni è la loro aneuploidia, ovvero le loro alterazioni cromosomiche. Tale causa tende ad aumentare di pari passo con l’età della donna in cerca di gravidanza.
Da quanto detto si deduce che un unico mancato attecchimento non crea preoccupazione, mentre se ci si trova in una situazione di RIPETUTO FALLIMENTO D’IMPIANTO, la situazione diventa più grave e necessita di attenzione maggiore unitamente alla ricerca di altre cause di mancato attecchimento.


Come si può osservare dall’immagine, il fumo, l’aumento eccessivo di peso e lo stress possono essere causa di una aumentata difficoltà di attecchimento embrionario.
Tuttavia vanno ricercate tutta una serie di situazioni che possono essere diagnosticate con precisione. Le anomalie anatomiche dell’utero per esempio possono essere evidenziate con una ecografia tridimensionale o con un’isteroscopia (metodica che permette una visione diretta della cavità uterina che viene effettuata senza necessità di anestesia).
Bisogna sempre controllare al momento del transfer lo spessore dell’endometrio che preferibilmente deve essere maggiore di 6-7 mm.
Vanno sempre controllate le infezioni a livello cervicale che debbono essere assenti, soprattutto quelle da Micoplasma-Ureoplasma o da Chlamydia. Proprio riguardo le infezioni bisogna controllare la presenza di sactosalpingi (tube chiuse che in caso d’infezione raccolgono al loro interno secrezioni infiammatorie che le rigonfiano e le rendono visibili eco graficamente). E’ stato dimostrato che le sactosalpingi possono, per via retrograda, far giungere le loro secrezioni infiammatorie in cavità uterina ed impedire l’attecchimento ed in tal caso vanno rimosse.
Va controllato nella paziente se sono presenti delle mutazioni genetiche che la rendano TROMBOFILICA. Tale situazione può provocare delle precoci alterazione del microcircolo a livello del trofoblasto ed impedire l’attecchimento o provocare un aborto precoce.
Ovviamente in queste situazioni va controllata la genetica degli embrioni per poter trasferire in cavità uterina solo embrioni sani con la massima capacità di attecchimento.
Studi recenti stanno mettendo in evidenza nell’endometrio la presenza di alcuni fattori che favorirebbero l’attecchimento embrionario come l’HCG Iperglicosilato o il LIF (Leukemia Inibitory Factor). Tuttavia questo tipo di diagnostica non è ancora entrata in fase clinica e manca di eventuali trattamenti. Di recente invece viene attribuita grande importanza alla popolazioni di batteri presenti nella cavità uterina (MICROBIOMA UTERINO). Questo filone di ricerca mette in evidenza come l’ambiente uterino favorevole all’attecchimento è quello che mostra una popolazione di batteri costituita per il 90% o più da Lattobacilli. In caso di diminuzione della presenza di lattobacilli prevale un ambiente infiammatorio che ostacola l’attecchimento.
Come detto dunque le possibili situazioni che possono ostacolare l’inizio di una gravidanza fisiologica in modo ripetuto e quindi patologico sono numerose e tutte vanno ricercate per una corretta diagnosi. Si può tornare così ad una normale fase di attecchimento embrionario che comunque non potrà mai essere del 100%.

La Novità

La novità più importante è la nuova follitropina delta, anche se ormai è sul mercato da circa tre anni.



Questa gonadotropina, pur essendo considerata equivalente alle altre, ha dimostrato nello studio di farmacologia e farmacodinamica comparata con altre gonadotropine due caratteristiche molto interessanti:



La delta raggiunge più velocemente la massima concentrazione plasmatica e la mantiene più a lungo. Oggi queste caratteristiche vengono utilizzate proprio nella induzione della crescita follicolare multipla nelle pazienti con bassa riserva ovarica. Tali protocolli si caratterizzano con i dosaggi massimali giornalieri della delta in associazione con LH con la quale mostra azione sinergica. I dosaggi raggiungono i 30 ugr giornalieri con 75 UI di LH. Vengono cosi ottenuti un aumentato numero di ovociti di buona morfologia e di blastocisti.



Quest’ultima caratteristica risulta particolarmente importante per ottenere dalla diagnosi pre-impianto un embrione sano da trasferire. Con questa follitropina delta inoltre è sempre possibile effettuare la doppia stimolazione. Questa consiste nell’effettuare una prima stimolazione ormonale, effettuare il prelievo ovocitario, sospendere tutto per 5 giorni e poi iniziare nuovamente con la stimolazione per poter effettuare subito un secondo prelievo ovocitario. Lo scopo è massimizzare il numero di ovociti e quindi di blastocisti da sottoporre a diagnosi pre impianto!



Dunque questo è il massimo che oggi possiamo fare nei casi con bassa riserva ovarica:

  • Uso della folli tropina delta in associazione con LH
  • Doppia stimolazione
  • Diagnosi pre impianto.